martedì 15 gennaio 2019

Il cuore dell'antica Convicino in una mappa del 1877


Il rinvenimento di una mappa catastale del 1877 del paese di Barrafranca ci induce a riconsiderare la lettura del sopraporta di palazzo Butera a Palermo, fatta nel mio blog in data 8 gennaio 2019[1].
           


Fig. n. 1


Stralcio di una mappa catastale datata 1877[2]



I Dato: l’antica chiesa Madre di Barrafranca

Fig. n. 2

L’antica chiesa madre, nel 1877, si trovava nella parte nord della piazza, era segnata nella mappa con le partite n. 3544, 3545 e 3546 (vd. fig. 2) della sezione 2. La prima partita di colore rosa corrispondeva alla navata destra che, a quanto pare, all’epoca era ancora in piedi. Le altre due partite, invece, ci restituiscono le mura perimetrali della chiesa ormai ridotta a rudere. La chiesa, come afferma Angelo Ligotti, sarà totalmente demolita nel 1933 con decreto podestarile[3]. Dietro la chiesa ricadeva e iniziava la via Chiesa Vecchia, che continuava nell’attuale via Chiesa Vecchia. La stecca di case ricadenti in quella che viene chiamata “Strada provinciale”, attuale corso Garibaldi non era in asse con la chiesa.


II Dato: l’antica torre di Convicino

Fig. n. 3

Nello stralcio in fig. n. 3 si può notare come circa cento anno dopo la realizzazione del dipinto di palazzo Butera in toponomastica esisteva la “Via dietro la torre”. Vengono segnati delle mura di contenimento e di difesa e si nota, evidenziato in giallo, un edificio pressoché rettangolare che ha evidentemente subito dei rimaneggiamenti successivi che lo hanno diviso in tre partite catastali. Quella che attira la nostra attenzione è la partita numero 1291. Il muro della parte ovest è disegnato con una linea spezzata che sembra essere un contrafforte.
La precisa denominazione toponomastica della strada e la forma della partita ci inducono a far collocare proprio in quel punto la celeberrima torre-dongione di Convicino di cui scrisse Vito Amico. La parte crollata della torre era l’angolo a sud-est: ecco perché Amico parla di reliquiae. Le due partite piccole e adiacenti altro non sono che successive costruzioni addossate alla torre ad uso abitativo di privati cittadini, che hanno negli anni continuato questa attività costruttiva fagocitante.


III Dato: il magazzino e l'orto del principe

Fig. n. 4

Nello stralcio in fig. n. 4,  si può notare come l’hortus conclusus o pars dominicia del Signore o principe feudale, nel 1877, conservava le proprie mura (vd. freccia bianca). L’edificio rettangolare contrassegnato con la partita 2028 (vd freccia rossa) risulta inglobato nelle mura e presenta anche una piccola corte sul lato a sud.

Fig. n. 5



Del muro di cinta dell’orto ci sono ancora oggi tracce nel largo Canale (vd. fig. n. 5 frecce rosse). L’edificio segnato all’interno dell’orto nella mappa del 1877 esiste ancora (vd. fig. n. 5 freccia bianca). Era questo il magazzino del principe segnato nel sopraporta di palazzo Butera? Oppure il magazzino non era altro che la stessa torre riadattata? O il vecchio carcere (fig. n. 4, freccia blu)? La Storia diventa ancora più misteriosa. Oggi, il sopravvissuto magazzino del principe, ad ogni buon conto non vedrebbe più la vasca ottagonale della fonte del Canale, che la mappa del 1877 riporta. Che peccato!



[1] Il blog si trova al seguente link: https://barrafrancamiscellanea.blogspot.com/2019/01/lettura-storico-architettonica-del.html
[2] I riferimenti di tale mappa si trovano in nota n. 2 nel blog al seguente link:  https://barrafrancamiscellanea.blogspot.com/2019/01/la-chiesa-di-san-marco-di-barrafranca.html
[3] A. Ligotti, Notizie su Convicino (l’Hibla Galatina sicula, la Calloniana romana), detta poi Barrafranca, attraverso nuovi documenti (1091 – 1529), in A.S.S. Serie III – Vol. VIII, Società Sicilina per la Storia, 1958, pag. 17.


Autore: Filippo Salvaggio

Identificazione pressoché definitiva della chiesa di San Marco alla luce della mappa catastale del 1877

            In data 08 gennaio 2019 ho pubblicato un articolo sul mio blog[1] intitolato: “Lettura storico-architettonica del sopraporta di palazzo Butera raffigurante Barrafranca: nuovi dati emergenti”. L’interpretazione di una mappa settecentesca è piuttosto difficoltosa. Ma, in data odierna, alla luce del rinvenimento di una mappa catastale datata 1877[2], mi è possibile offrire dati più precisi sulla Barrafranca del passato.
            In particolare, riferendomi al IV dato riguardante l’antica chiesa di San Marco, è possibile ribadire quanto precedentemente affermato e cioè che essa si trova ancora nell'isolato compreso tra via Mintina e via San Francesco ed è stata inglobata nelle abitazioni private in tempi passati. Nella mappa catastale del 1877, non esistevano né via Mintina, né via Belvedere. L’isolato appena menzionato era formato solo da un edificio identificato con la partita n. 2360 con una corte adiacente e segnata con il numero 2361 (vd. freccia rossa in fig. n. 1). Di tale edificio che si affacciava alla via La Loggia, attuale via San Francesco, molto probabilmente esistono ancora le mura inglobate in abitazioni private. L’antica crucidda” del Cummintinu” non viene segnata nella mappa. Il "Cummintinu", in teoria, o corrispondeva con la chiesa o era un ampliamento della stessa: urgono altri studi. La via Massarello, attuale via Loreto, terminava nella parte alta, proprio sul lato sud della chiesa di San Marco. Dallo stralcio in fig. 1, si può notare che la collocazione data dallo storico Luigi Giunta era probabilmente esatta, in quanto la chiesa, di cui si possono anche calcolare le dimensioni, si trovava proprio di fronte l'ingresso principale del convento (e non della chiesa) di San Francesco, che nella mappa è segnato come una sorta di corte di forma trapezoidale (vd, freccia verde in fig. 1). 
La chiesa è segnata anche nella pianta modografica di Barrafranca del catasto borbonico [3] datata 1847 come particella n. 9 (vd. fig. 3) accanto alla quale vi è disegnato un dirupo. In tale pianta, la forma rettangolare diventa leggermente a "L". Forse vi era un campanile o un portico laterale che manca nella pianta di trent'anni dopo.
Come si evince anche dalla lettura del sopraporta di palazzo Butera a Palermo, il nuovo convento di San Francesco era dotato di un hortus conclusus, del quale nella mappa del 1877 si può notare ancora l'esistenza (vd. fig. 4). Non c'era piazza Regina Margherita, ma il "Largo Convento", più piccolo perché il muro di cinta della parte nord divideva in due l'attuale piazza. Successivamente al 1877, per creare la piazza regina Margherita, tale muro fu abbattuto.


 Fig. n. 1
Stralcio della mappa catastale del 1877 in sez. 2



Fig. n. 2
Autenticazione della mappa catastale del 1877


Fig. n. 3
Stralcio della pianta del catasto borbonico del 1847


Fig. 4
Il Largo Convento e il muro dell'orto che divideva in due l'attuale piazza regina Margherita





Si ringrazia mio fratello Paolo per il prezioso aiuto.




[1] Il blog è rintracciabile in internet al seguente indirizzo: https://barrafrancamiscellanea.blogspot.com/2019/01/lettura-storico-architettonica-del.html
[2] La mappa in questione è inedita ed è composta da due sezioni e un quadro d’unione. In entrambe le sezioni in basso a destra si trova la seguente dicitura: “Estratto per copia conforme della Mappa originale corretta ed aggiornata a tutto il 10 Settembre dall'Applicato tecnico Sig.r Banfi Edoardo previa identificazione coi dati del Prospetto generale B. La medesima concorda pure col nuovo Registro delle Partite dei possessori parimenti autenticato dal sottoscritto. Catania, 14 Maggio 1878. L’Ispettore Censuario Dirigente”. Vi è poi la firma dell'ispettore e il timbro del Catasto di Catania (vd. fig. 2).
[3] La pianta modografica del comune di Barrafranca del 28 febbraio 1847 è pubblicata in: Enrico, Caruso, Alessandra Nobili, a cura di, Le mappe del catasto borbonico di Sicilia. Territori comunali e centri urbani nell’archivio cartografico Mortillaro di Villarena (1837-1853), Palermo, Regione Siciliana, Assessorato dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, 2001, pag. p. 493.


Autore: Filippo Salvaggio

lunedì 14 gennaio 2019

Sulla chiesa suburbana di San Sebastiano la Vetere in territorio di Barrafranca


Individuazione della chiesa suburbana di San Sebastiano La Vetere

A scrivere dell'esistenza dell'antica chiesa suburbana di San Sebastiano La Vetere fu lo storico Angelo Ligotti[1]. In un contratto del notar Scipione Sortino da Barrafranca, datato 6 agosto 1644, Ligotti trovò la dicitura «In Contrada Sancti Sebastiani Veteris sotto la Serra, secus Clausuram…» e cioè “Nella contrada di San Sebastiano la Vetere sotto la serra, subito dopo l’eremo…”.
                Tutti gli storici locali, compreso il Ligotti, affermano che di tale chiesa non vi è, ad oggi, nessuna traccia. Sparita nel nulla assieme ad altre chiese suburbane. Ma è davvero così?
                In seguito a un mio sopralluogo, proprio in contrada “Sotto serra” (coordinate geografiche 37.363537, 14.207699, vd. fig. 1), mi sono imbattuto in un edificio (vd. fig. 2) indiziabile proprio come l’antica chiesetta scomparsa. Nel cuore dell'antica miniera di zolfo cosiddetta della “Mintina”, che fu probabilmente sfruttata da Matteo III Barresi[2],  questo edificio presenta tre ambienti: la chiesa (successivamente trasformata in palmento), il campanile retrostante (vd. figg. 3, 4, 5) e l’eremo. Rimangono ancora visibili le due paraste in facciata dove vi è anche una particolare finestra triangolare con moduli anch'essi triangolari (vd. fig. 6) e un portale su cui vi è scolpita la seguente scritta: “Sacerdoti Messina 1824” (vd. fig. 7).

Fig. 1 
vista da Google earth

 Fig. 2
La facciata della probabile chiesa di San Sebastiano la Vetere


 Fig. 3 
Il campanile retrostante con piccola feritoia per avvistamento


Fig. 4
Vista laterale. Partendo da dx: eremo, chiesa e campanile


Fig. 5
Vista laterale del campanile

Fig. 5
Particolare con finestra triangolare in facciata


Fig. 6
Il portale di ingresso con la dicitura e la data 1824 


           All'interno vi è un arco centrale che divide in due l’ambiente che parte da una probabile acquasantiera collocata a sinistra (vd. fig. 7). Sulle pareti vi sono delle coppelle per illuminare l’ambiente (vd. fig. 8) e, in fondo a destra una scala in gesso che conduce su al vano del campanile.

 Fig. 7
Arco interno con probabile acquasantiera


 Fig. 8
Coppelle per illuminare

 Fig. 9
Scala che conduceva al vano campanile

 Fig. 10
Particolare del pavimento a lastroni


Fig. 11
Interno dell'eremo
            



[1] A. Ligotti, Notizie su Convicino (l’Hibla Galatina sicula, la Calloniana romana), detta poi Barrafranca, attraverso nuovi documenti (1091 – 1529), in A.S.S. Serie III – Vol. VIII, Società Sicilina per la Storia, 1958, pag. 18.
[2] «Con privilegio dato a Granada il 7 dicembre 1526, Carlo V gli conferì la licenza e piena facoltà di aprire, cavare e zappare liberamente miniere di sale nei territori di Pietraperzia, Barrafranca e Fontanamurata» con possibilità di vendere sia in Sicilia sia all’estero; vd.: F. Scibilia, I Barresi di Pietraperzia – Una corte feudale in Sicilia tra Medioevo ed età moderna, Palermo, edizioni Caracol, 2016, pag. 17.


Autore: Filippo Salvaggio

martedì 8 gennaio 2019

Lettura storico-architettonica del sopraporta di palazzo Butera raffigurante Barrafranca: nuovi dati emergenti

Breve premessa
    Il sopraporta di palazzo Butera è un documento storico la cui lettura ci induce a portare avanti delle ipotesi più o meno accreditabili. Difficilmente si potrà avere precisione scientifica delle letture se manca il conforto di altri dati anche di altra natura. Ma la presenza di un dibattito storico ha, in ogni modo, il merito di muovere le acque della cultura che rimarrebbero stagnanti. 
    Che il dibattito sia imperniato sul rispetto reciproco delle vedute e non abbia in seno velleità alcuna se non quella di amare la nostra Storia e tramandare tale amore e passione a chi in futuro sarà responsabile del passato.

I dato: l’antica chiesa madre di Barrafranca

Fig. n. 1

La figura numero 1 ci permette di osservare uno stralcio del dipinto raffigurante quella che era l’attuale piazza F.lli Messina; in essa campeggiava, assieme ad altri monumenti l’antica chiesa madre (u cappilluni), indicata dalla freccia bianca con la dicitura “Chiesa Matrice”. Essa fu probabilmente costruita da Pietro Barresi in seguito allo stanziamento di denaro da parte del padre Girolamo prima di morire, per fornire la quantità di legname necessaria per la sua costruzione. Girolamo Barresi nel suo testamento[1] imponeva al figlio la costruzione (oltre che di un ospedale) della chiesa madre «in loco noncupato di La Cruchi» cioè nel luogo occupato dalla croce. Ebbene, dal dipinto si può vedere che nella piazza in questione vi era una croce (vd. freccia rossa) o crucidda, che molto probabilmente era preesistente alla chiesa. Chissà da quale barbara mano fu, in seguito, distrutta! Ma possiamo anche desumere che già in quell'epoca la vecchia chiesa madre era in rovina: lo si intuisce dalla dicitura che vi è sotto quella che corrisponde all'attuale chiesa di San Benedetto attaccata all'omonimo convento. Le frecce azzurre nella figura numero 1 indicano la chiesa e la seguente dicitura: “Chiesa Matrice incominz”, chiesa madre in costruzione. Quella che noi conosciamo come chiesa di San Benedetto fu, dunque, costruita nel Settecento con l’intenzione di farla diventare la nuova chiesa madre? O altro? La Storia intercorsa, però, ci insegna che la nuova chiesa madre fu costruita sui ruderi della chiesa di San Sebastiano, anch'essa ben segnata nel dipinto sopraporta. Le motivazioni della scelta di ampliare la chiesa di San Sebastiano ed elevarla a nuova chiesa madre vanno indagate seguendo l’espansione urbanistica del paese verso nord e la forte devozione nei confronti del Crocifisso miracoloso ritrovato in contrada Rastrello.

  II dato: il magazzino

Fig. n. 2

Lo stralcio in fig. numero 2 pone in evidenza una costruzione, presente in piazza di fronte alla chiesa madre, denominata “Magasino D. S. E. P.” cioè magazzino Di Sua Eccellenza il Principe. Tale magazzino sembra corrispondere con l’edificio denominato “u carciri” che, negli anni Ottanta, fu distrutto per poi costruire l’attuale edificio postale ed era posto in un luogo in vista (sormontava la valle circostante) e strategico, in quanto era nella adiacenze della torre e pronto ad essere difeso. Per di più, l'edificio si trovava vicino all'appezzamento di terra che nel sopraporta viene denominato “Orto del Signore” cioè l’orto appartenente al signore feudale, la cosiddetta pars dominicia (vd. freccia bianca in fig. n. 3). Si trattava dell'orto più fiorente del paese, giacché servito dalle acque della “Beveratura” del canale (vd. freccia rossa in fig. n. 3). Ancora oggi, la contrada in questione viene denominata dagli anziani “urtu du signuri”.

Fig. n. 3




III dato: l’antico convento di San Francesco


Fig. n. 4

Lo stralcio in figura numero 4 rappresenta, adiacente alla “Strada per Pietraperzia” quello che viene denominato “Orto di San Francesco” (vd. freccia bianca). Si nota, altresì, un gruppo di edifici sopra la fonte del “Canalle”: tra questi vi dovrebbe essere l’antico monastero di San Francesco che il sacerdote Luigi Giunta colloca nella zona del “Musciulinu”. Nel Settecento, il vecchio convento era già caduto nel dimenticatoio, poiché era stato costruito ed era in uso il nuovo convento di San Francesco ben segnato nel sopraporta. A quanto pare, l’orto dell'antico convento veniva coltivato ancora dai francescani, servito dalle acque della fonte dell'attuale via Itria che ha smesso di essere fiorente da pochissimi anni. Da un sopralluogo da me effettuato nella zona, si erge ancora oggi un edificio indiziabile come l’antico monastero (coordinate 37.374399, 14.199221), data la presenza di finestre strette e collocate in alto (vd. figg. n. 5a e 5b). Esistono anche altri edifici dalle mura in apparenza antiche che circondano il monastero, attualmente di proprietà di privati cittadini, e una parte del muro di cinta dell'orto (fig. 5c). Esiste anche l’orto fertile, hortus conclusus, fino a qualche decennio fa’ ancora sfruttato dai rispettivi proprietari, da cui emergono frammenti fittili di varie epoche. Nella figura numero 5d, si può vedere lo stralcio di una mappa catastale data 1877 in cui si delinea il muro di cinta dell'orto di San Francesco che si affaccia su quello che viene definito: "Borgo sopra Canale". L'indiziabile convento è identificato con la partita n. 760 e si trova adiacente a un cortile oggi parzialmente ostruito. Nel 1877, l'orto era già oggetto di frazionamento.
Nella pianta del catasto borbonico del 1847 [5], il convento e l'orto sono presenti nella sez. I particella n. 6 (fig. 5e). 
Fig. n. 5 a


Fig. n. 5 b
Vista da Google Earth  del monastero e dell'orto di San Francesco del Musciolino. Freccia bianca: fonte del canale; freccia rossa: monastero; freccia blu: muro di cinta dell'orto dei francescani



Fig. n. 5 c
Un tratto del muro di cinta dell'orto di San Francesco nel Musciolino


Fig. n. 5 d
Il muro di cinta dell'orto di San Francesco nel Musciolino come risulta da una mappa catastale del 1877 sez. 1


Fig. n. 5 e

Il muro di cinta dell'orto  e il convento di San Francesco nel Musciolino come risulta nella pianta modografica del catasto borbonico del 1847 sez. I particella n. 6


IV dato: l’antica chiesa di San Marco

Fig. n. 6

            Lo stralcio in figura numero 6 rappresenta benissimo la collocazione dell'antica chiesa di San Marco ricordata dal Giunta, che la collocava di fronte alla porta maggiore del convento (e non della chiesa) di San Francesco (nella figura n. 6 la freccia di colore bianco indica la dicitura “Convento dei PP. Riformati”, cioè convento dei Padri Riformati; la freccia rossa indica la chiesa con la dicitura "S. Marco"). Grazie al dipinto di palazzo Butera possiamo definitivamente collocare la chiesa di San Marco sulla collina del quartiere Serra nell'attuale via Belvedere. In tale spazio, fino a qualche decennio fa’, campeggiava la struttura che il volgo denominava “U cummintinu” (vd. fig. n. 7) che fu vittima dell'avanzata del cemento e, dunque, distrutta o inglobata nel piano terra di alcune abitazioni privata. La chiesa di San Marco, dunque, non è mai del tutto sparita e se ne potrebbero ancora oggi leggere le tracce, frugando nei cuori delle moderne abitazioni svettanti in cima alla “Serra” al posto del “cummintinu”, di cui si hanno ancora ricordi come sede di scuola elementare. Molti anziani ricordano ancora la presenza di un antico "trappitu", oleificifio, ricadente nel lato che si affaccia in via Mintina. Dopo tanti anni si scioglie, finalmente, l’enigma: la chiesa di San Marco corrispondeva con “U cummintinu” e sarebbe da cercare all'interno dell'intero isolato compreso tra via Belvedere e via Mintina.


Fig. n. 7[2]



  V dato: la torre di Convicino

Fig. n. 8 

   Lo stralcio in figura numero 8 contiene un edificio (vd. freccia rossa) molto particolare per forma e dimensioni. La freccia blu indica quelle che sembrano tre aste portabandiera. La costruzione avente base rettangolare si trova accanto alla chiesa di San Benedetto e all'antica chiesa madre.  Tale posizione ci ricorda quanto scrisse Vito Amico nel 1757 nel suo “Lexicon topographicum siculum” edito a Palermo[3]: «Turris hinc celeberrimae Convicini perstant adhuc reliquiae prope veterem maiorem ecclesiam» e cioè che i resti della celeberrima torre di Convicino si trovano “prope”, vicino, accanto alla vecchia chiesa madre. L'avverbio latino usato da Vito Amico sembra adeguarsi a quanto rappresentato nel sopraporta di Palazzo Butera a Palermo: un possente edificio rettangolare si staglia vicino e accanto all'antica chiesa madre con le sue svettanti tre aste, che ci suggeriscono la sua funzione di rappresentanza. Il portale sembra essere molto simile a quello d'ingresso attuale al monastero di San Benedetto, la cui pietra di volta raffigura lo stemma dei Barresi e ci induce a pensare che sia stato riutilizzato. 
     La torre, ad ogni buon conto, doveva verosimilmente essere un classico dongione normanno a base rettangolare come se ne trovano in Sicilia a Motta Sant'Anastasia e a Militello V.C., che riproducevano e importavano il modello nordico del donjon roman. Lo spessore delle mura delle torri era generalmente compreso tra 2 metri e 2,60; avevano due o tre piani coperti da solai in legno; le dimensioni erano: m. 8,5 x 17 oppure 10 x 9; insomma la superficie era di circa 100 - 150 metri quadrati[4].
    Un particolare curioso è la somiglianza del dongione di Convicino raffigurato in modo simile a quello del dipinto sopraporta di Militello e contrassegnato con il numero 24 (vd. fig. 9), che si trova pure accanto ad una chiesa: santa Maria La Vetere (vd. fig. 10). La chiesa di Santa Maria La Vetere e il vicino dongione sono ancora oggi testimonianze tangibili di un passato custodito civilmente (vd. fig. n. 10), indubbiamente diverso dal nostro che ha dovuto subire la violenza delle ruspe. Il numero 24 nell'attuale legenda indica la dicitura "Chiesa Vechia di San...", ma si deve considerare che la legenda è in pessime condizioni ed è stata pesantemente rimaneggiata.   
      L’edificio che ha soppiantato il dongione normanno sarebbe, dunque, nella zona in cui ricade anche l’attuale sede dei servizi sociali del Comune di Barrafranca e non l’edificio postale, al posto del quale si doveva trovare il magazzino del principe oppure nel'isolato opposto, prendendo in considerazione il corso Garibaldi.  La torre, di contro, potrebbe non essere stata rappresentata nel sopraporta oppure si può ipotizzare che nel Settecento era ridotta a magazzino del Principe. Tutto questo, per lo meno, ci suggerisce la lettura del sopraporta raffigurante Barrafranca: chissà se la realtà sia stata diversa... Non ci è dato sapere, la volontà distruttiva dei barresi ha, purtroppo, preso il sopravvento. Che non accada mai più!


Fig. n. 8


Fig. n. 9


Fig. n. 10
La chiesa Santa Maria La Vetere di Militello V. C. e il dongione normanno indicato da una freccia rossa (vista da google earth)





VI dato: La selva 

     In ogni feudo che si rispetti c'è sempre la selva. Nel medioevo, essa era la parte di tutti e di nessuno, necessaria per l'approvvigionamento di legna, per la caccia e per i prodotti selvatici. Luogo dell'immaginario da non esplorare, nascondiglio per briganti e simbolo del peccato, la selva c'era anche a Convicino e si è addirittura conservata intatta fino a settant'anni fa' circa. Oggi, la cementificazione del boom degli anni Ottanta ha, purtroppo, cancellato la selva, ma è rimasto nei ricordi degli anziani che la chiamano "sirbija". Si tratta di un quartiere che si estende dalla via Mazzini alta al viale Signore Ritrovato circa. 
     Un dato di fatto che emerge dalla lettura della mappa sopraporta è appunto che in essa vi è ben collocata e dipinta una vera e propria selva, ricadente essattamente nell'attuale "sirbija" (vd. fig. 11).



Fig. n. 11
La selva di Barrafranca nel sopraporta di palazzo Butera a Palermo




 [5] La pianta modografica del comune di Barrafranca del 28 febbraio 1847 è pubblicata in: Enrico, Caruso, Alessandra Nobili, a cura di, Le mappe del catasto borbonico di Sicilia. Territori comunali e centri urbani nell’archivio cartografico Mortillaro di Villarena (1837-1853), Palermo, Regione Siciliana, Assessorato dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, 2001, pag. p. 493.

[4] Uno studio approfondito sui dongioni siciliani e in particolare su quello di Militello V. C. è stato condotto da Viviana Pamela Di Benedetto nel suo saggio intitolato “Il complesso di Santa Maria La Vetere a Militello in Val di Catania: nuovi dati dalla torre normanna”, il Garufi Edizioni, 2011, II ed. 2014 da: ilmiolibro.it.

[3] Vol. I, p. 23


[2] Immagine tratta da: http://storialocalebarra.blogspot.com/2017/10/storia-delle-tradizioni-popolari.html


[1] Testamento di Girolamo Barresi in ASPa, Notai defunti, not. Giacomo Scavuzzo, vol. 3640, c. 299 v..  


Autore: Filippo Salvaggio

Premessa

In data 16 aprile 2009, lo scrivente e il dott. Egidio D’Angelo inviarono la seguente mail al principe Moncada Paternò, allora proprietario del palazzo Butera di Palermo:
            Gent.ma fam. Moncada Paternò, proprietaria dell'immobile denominato palazzo Butera,
i sottoscritti prof. Filippo Salvaggio e dott. Egidio D'Angelo, studiosi di Storia locale, chiedono cortesemente di potere osservare e possibilmente fotografare la raffigurazione del feudo di Barrafranca situato nella Sala dei Feudi di Palazzo Butera, al fine di acquisire informazioni topografiche dell'abitato di Barrafranca in epoca antecedente al terremoto di fine Seicento. I risultati di tale studio saranno pubblicati.
            Nel ringraziarvi anticipatamente della cortese disponibilità, in attesa di un Vostro riscontro, Vi inviamo i più cortesi saluti.
            La gentile risposta non si fece attendere, giungendo in data 17 aprile 2009:
            Egr. Professore, il Principe Moncada ha dato la sua autorizzazione per il sopralluogo a Palazzo Butera.
            La prego di contattare i ns. uffici dal lun. al ven. dalle 9 alle 13 per concordare la visita.
Cordiali saluti.
            La nostra auspicata visita era dovuta al fatto che il dott. D’Angelo aveva notato delle scritte nel sopraporta, ma la condizione dello stesso e la scarsa qualità dell’immagine scansionata non offrivano l’opportunità di decifrarle. Per diversi motivi entrambi non riuscimmo ad andare a Palermo a compiere la “missione”, ma la voglia e la curiosità di conoscere il contenuto del sopraporta non sono mai venute meno.
            Nel 2016, Francesca e Massimo Valsecchi, divennero i nuovi proprietari del palazzo e lo restaurarono, rendendolo visitabile dal 17 giugno 2018. Furono anche restaurati i sopraporta della sala dei feudi e dal 10 novembre dello stesso anno fu inaugurata una mostra denominata “Le città del Principe”. Finalmente si offrì una nuova possibilità di poter leggere il dipinto e mi recai in data 11 novembre a Palermo, accompagnato dall’Arch. Salvo Zafarana. Agli occhi di entrambi si spalancò un viaggio meraviglioso nel passato e l’esame delle scritte si rivelò fruttuoso. Assieme all’Arch. Zafarana ci confrontammo sulla lettura della pianta settecentesca: fu poi lui a incoraggiarmi a metterla per iscritto.
            Grazie, dunque, a Egidio D’Angelo, a Salvo Zafarana e ai coniugi e mecenati Valsecchi si aprono nuove pagine di storia locale, facendo luce su un passato che a noi piace immaginare felice e ameno.



P. S. La mostra terminerà il 24 marzo 2019, ma noi auspichiamo che altri studiosi possano avere il piacere di trovarsi di fronte ai sopraporta che raffigurano i feudi dei principi Ercole Michele e Salvatore Branciforti, offrendo uno spaccato di vita piuttosto veritiero della seconda metà del Settecento.
Filippo Salvaggio